LET'S
La Rete Educatrici ed Educatori di Bologna e Bauhmaus in collaborazione con la rivista di educazione ed intervento sociale Gli Asini presenta:
LET'S - Laboratorio permanente di Educazione e Trasformazione Sociale
Un ciclo di incontri per ripensare il lavoro sociale.
“Come soldati senza il conforto di un’epopea da condividere.."
di Alessandro Tolomelli Intervento al Convegno “Responsabili
equilibri”, ASP Irides, Comune di Bologna, 7 aprile 2011.
Credo che la cifra che caratterizza l’Educatore oggi sia
connotata da un paradosso di fondo. Da un lato il suo ruolo di “tecnico della
relazione”, di catalizzatore del cambiamento è tanto più necessario, quanto più
aumenta la complessità della nostra realtà sociale. D’altra parte lo
smarrimento che accompagna l’agire professionale, ma anche esistenziale, di
questi “professionisti di frontiera” è ormai sotto gli occhi di tutti: tecnici,
amministratori, utenti, educatori stessi. Questo senso di smarrimento ha molte
radici e altrettante motivazioni che cercherò brevemente di illuminare nel mio
intervento in seguito. Quel che credo però non possa sfuggire è che ci troviamo
di fronte ad una sfida che allude alla possibilità di esistenza e resistenza
stessa del lavoro educativo territoriale come lo conosciamo e, d’altra parte,
penso fortemente che l’obiettivo finale debba essere quello di costruire, o
ricostruire, un’epistemologia professionale, un sentimento del senso dell’agire
educativo condiviso, un immaginario in grado di dare dignità e valore
all’impegno professionale in educazione.
Qui il link all'intero intervento: “Come soldati senza il conforto di un’epopea da condividere …” di Alessandro Tolomelli
In questi anni Il Mammut ha sviluppato una ricerca azione articolata e complessa, dando vita a pubblicazioni e organizzazioni territoriali anche in altre regioni d’Italia. La ricerca Mammut intreccia pedagogia, urbanistica, teatro e arti figurative nel tentativo di sperimentare forme di sociale e convivialità valide nel nostro tempo.
La rivista nasce
dall’“area pedagogica” dei collaboratori della rivista Lo
straniero e delle Edizioni
dell’Asino.
E’ animata e dà voce a un gruppo di operatori culturali e sociali, impegnati in diversi ambiti dell’educazione, della formazione e dell’intervento sociale, dentro e fuori la scuola, con stranieri, adulti, bambini e ragazzi, accomunati da un’idea “forte” di educazione, intesa come fondamentale dimensione di raccordo tra cultura e morale, tra individuo e comunità.
E’ animata e dà voce a un gruppo di operatori culturali e sociali, impegnati in diversi ambiti dell’educazione, della formazione e dell’intervento sociale, dentro e fuori la scuola, con stranieri, adulti, bambini e ragazzi, accomunati da un’idea “forte” di educazione, intesa come fondamentale dimensione di raccordo tra cultura e morale, tra individuo e comunità.
BIBLIOGRAFIA
Impariamo
dalla storia
Paulo Freire, La pedagogia degli
oppressi.
L’obiettivo
dell’educazione è «emancipare gli uomini»: ciò significa dare
loro il diritto e il potere della parola e formarli nella liberazione
e per la libertà. Questo deve avvenire soprattutto per gli
«oppressi», che possono essere risvegliati, col metodo «Freire»,
alla «coscientizzazione», alla presa di coscienza e alla presa di
parola, collettivamente gestita. Infatti il metodo Freire è un
metodo di socializzazione, di dialogo, di risveglio delle classi più
povere, in modo da farle entrare operativamente, costruttivamente
nella cultura: nell’uso della cultura e nella sua produzione. In
questi soggetti umili e deboli e nelle società che essi abitano
bisogna cancellare la «paura della libertà» e dar vita a soggetti
radicali, che sono impegnati nella «liberazione degli uomini» e che
vogliono trasformare la realtà sociale dell’oppressione; che
stanno vicino al popolo, tramite un «dialogo con lui», «si
impegnano» con gli oppressi per «lottare con loro».
In tale percorso pedagogico si contrappongono umanizzazione e disumanizzazione, si dispiega il valore del dialogo, e si afferma il metodo della «coscientizzazione», in modo da realizzare quella «liberazione nella comunione» che rende l’educazione «problematizzante», intesa a formare l’uomo come soggetto aperto, rivolto alla sua «permanente ricerca di “essere di più”». Allora proprio la dialogicità contrassegna l’educazione, deve contrassegnarla, e pone al centro la «collaborazione», l’«unire per liberare», l’«organizzazione», la «sintesi culturale».
La pedagogia degli oppressi esprime una forte «fede negli uomini» e «nella creazione di un mondo dove sia meno difficile amare». Liberazione e utopia qui si saldano strettamente e operativamente.
In tale percorso pedagogico si contrappongono umanizzazione e disumanizzazione, si dispiega il valore del dialogo, e si afferma il metodo della «coscientizzazione», in modo da realizzare quella «liberazione nella comunione» che rende l’educazione «problematizzante», intesa a formare l’uomo come soggetto aperto, rivolto alla sua «permanente ricerca di “essere di più”». Allora proprio la dialogicità contrassegna l’educazione, deve contrassegnarla, e pone al centro la «collaborazione», l’«unire per liberare», l’«organizzazione», la «sintesi culturale».
La pedagogia degli oppressi esprime una forte «fede negli uomini» e «nella creazione di un mondo dove sia meno difficile amare». Liberazione e utopia qui si saldano strettamente e operativamente.
Elise Freinet, nascita di una
pedagogia popolare.
Questo
libro racconta la splendida storia di Célestin Freinet,
educatore e pedagogista, che nasce a Gars, in Francia, nel 1896 e
muore a Saint-Paul de Vence nel 1966.
È considerato il massimo esponente dell'attivismo francese.
Tuttavia egli, pur essendosi ispirato a figure autorevoli quali
Dewey, Claparède, Cousinet, Decroly, Montessori, non volle mai
considerarsi l'esponente di una corrente, ma un maestro, poiché la
sua convinzione era che sebbene quei medici, psicologi, filosofi
«seminavano al vento il buon seme di un'educazione liberata, non
erano loro a grattare la terra dove avrebbe germogliato la semenza
[...] Lasciavano obbligatoriamente queste cure ai tecnici della base,
che in mancanza di organizzazione, di strumenti e di tecniche, non
pervenivano a tradurre i loro sogni in realtà» (Freinet, 1969, pp.
8-9). Freinet era uno di quei tecnici, convinto che la «liberazione
pedagogica» (ibi, p. 10) sarebbe partita dal basso, dagli stessi
educatori.Egli fu il fautore di una scuola e di una pedagogia moderne, che sostituivano all'autorità del maestro, alla netta separazione tra scuola e vita, la libera espressione dell'alunno e il mantenimento del legame tra realtà scolastica e realtà pre-scolastica.
Jown Dewey, il mio credo
pedagogico
Il Mio Credo
Pedagogico è il “manifesto” delle scuole nuove. Per l’epoca fu
una fucilata sparata nel mezzo di una palude pedagogica che non
riusciva a riconoscere la centralità del soggetto nel processo
educativo. Dewey divenne il massimo rappresentante teorico della
Scuola progressiva. Con l’educazione nuova si stava verificando uno
spostamento del nucleo attorno al quale ruotano le pratiche
educative: dal maestro al bambino. Il punto fondante dell’analisi
pedagogica di Dewey è dato da una concezione dell’educazione come
“partecipazione dell’individuo alla coscienza sociale della
specie” che trova nel principio della vita democratica la sua
manifestazione più alta e significativa. Se la società democratica
è il prodotto dell’intelligenza degli uomini, a sua volta
l’educazione dell’intelligenza costituisce un fattore decisivo
per la vita democratica. La vita democratica si alimenta, insomma,
mediante la coltivazione delle intelligenze. Lo stretto rapporto che
intercorre tra democrazia e educazione è alla base della relazione
interattiva tra scuola e società. La scuola basata sull’attività
e sugli interessi degli alunni, ordinata come una comunità aperta
alla realtà sociale, impegnata a non plasmarli in modo
standardizzato, ma a valorizzarli secondo le loro potenzialità,
viene indicata come la condizione indispensabile per il manifestarsi
di una società nella quale gli esseri umani possano sperimentare in
modo personale la democrazia.
Mario
Lodi, Il paese sbagliato
Diario di una esperienza didattica innovatrice
Diario di una esperienza didattica innovatrice
“Il
libro racconta il diario di una esperienza didattica innovatrice,
realizzata con i miei alunni nella scuola di Vho di Piadena (Cremona)
dal 1964 al 1969. Un’ esperienza incentrata sulla libera creatività
del bambino, documentata giorno per giorno dalle conversazioni dei
ragazzi, dai loro testi, dalla loro vita reale.”
Quando uscì “Il Paese sbagliato rappresentava per me la conclusione di un percorso iniziato negli primi anni del dopoguerra quando, dopo la caduta del fascismo e la fine del conflitto, il problema di fondo era la ricostruzione materiale e morale dell’Italia sui nuovi valori espressi dalla Liberazione. E proprio nel 1948, l’anno in cui veniva promulgata la Costituzione, io giovane maestro ancora fresco di studi ma inesperto sul piano didattico venni mandato alla sbaraglio in una scuola ancora verticistica e autoritaria, con nel cuore e nella mente i valori della libertà, della democrazia e della partecipazione che dovevano essere alla base della nuova società da costruire. “
Una mappa dettagliata, con consigli pratici, suggerimenti e testimonianze, che attraversa un settore ampio che va dal carcere alla disabilità, dal microcredito alla cooperazione internazionale, dal lavoro di comunità all'altra economia, dai diritti umani alle tossicodipendenze, dalla scuola agli ospedali psichiatrici giudiziari. Un mondo in evoluzione costante che ha visto l’impegno volontario diventare strutturale fino a costituire una “parte integrante di un welfare mix”. Un fenomeno che ha determinato la nascita di “una economia di grande importanza poggiata su tantissime imprese sociali con enormi bilanci e fatturati”. Un passaggio storico, spiega Marcon, “che porta il terzo settore a essere un soggetto economico importante che dà lavoro a centinaia di migliaia di persone”.
Quando uscì “Il Paese sbagliato rappresentava per me la conclusione di un percorso iniziato negli primi anni del dopoguerra quando, dopo la caduta del fascismo e la fine del conflitto, il problema di fondo era la ricostruzione materiale e morale dell’Italia sui nuovi valori espressi dalla Liberazione. E proprio nel 1948, l’anno in cui veniva promulgata la Costituzione, io giovane maestro ancora fresco di studi ma inesperto sul piano didattico venni mandato alla sbaraglio in una scuola ancora verticistica e autoritaria, con nel cuore e nella mente i valori della libertà, della democrazia e della partecipazione che dovevano essere alla base della nuova società da costruire. “
Lavorare nel sociale una professione da ripensare (qui il link alla presentazione)
Una mappa dettagliata, con consigli pratici, suggerimenti e testimonianze, che attraversa un settore ampio che va dal carcere alla disabilità, dal microcredito alla cooperazione internazionale, dal lavoro di comunità all'altra economia, dai diritti umani alle tossicodipendenze, dalla scuola agli ospedali psichiatrici giudiziari. Un mondo in evoluzione costante che ha visto l’impegno volontario diventare strutturale fino a costituire una “parte integrante di un welfare mix”. Un fenomeno che ha determinato la nascita di “una economia di grande importanza poggiata su tantissime imprese sociali con enormi bilanci e fatturati”. Un passaggio storico, spiega Marcon, “che porta il terzo settore a essere un soggetto economico importante che dà lavoro a centinaia di migliaia di persone”.
Attualità
La rivolta del Riso.
Le frontiere del lavoro nelle
imprese sociali tra pratiche di controllo e conflitti biopolitici
a cura di Renato Curcio
I risultati di
un cantiere di socioanalisi narrativa sulla condizione di chi lavora
nelle imprese sociali, voluto e autogovernato da lavoratori del
settore provenienti da varie città e regioni. Dovendo dare un titolo
all'esplorazione compiuta, si è scelto di utilizzare una delle
storie raccontate: la piccola rivolta di un gruppo di ragazzini ai
quali, in un Centro diurno, era stato dato da mangiare del riso
immangiabile. In quel caso, l'operatore sociale è stato indotto a
sedare la rivolta, ruolo di controllo che non era previsto
esplicitamente nel suo mandato, rivolto piuttosto all'aiuto. I "non
detti" che determinano il lavoro nel sociale emergono qui,
insieme alla necessità di ridefinire il ruolo effettivo che le
imprese sociali, al di là dei loro miti originari, svolgono
effettivamente dopo la liquidazione dello Stato sociale. Sono presi
in esame alcuni momenti critici dell'esperienza lavorativa: la soglia
d'ingresso, il mandato, l'impatto con gli utenti-clienti, gli
affidamenti. E sono, infine, esplorate l'implicazione personale delle
lavoratrici e dei lavoratori, la loro torsione etica, le istanze
istituenti e le domande che si aprono sull'incerto futuro di questo
settore.
FILMOGRAFIA
Adolescenti
L'odio,
Mathieu Kassovitz, 1995
Juno,
Jason Reitman, 2007
Gli anni in
tasca, Truffaut, 1976
Adolescenti e droghe
Trainspotting,
Danny Boyle, 1996
Noi
i ragazzi dello zoo di Berlino, Uli Edel, 1981
Fame
chimica, Antonio Bocola e Paolo Vari, 2003
City of God, Fernando Meirelles, 2002
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